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Il presente contributo prosegue nell’analisi – introdotta nell’articolo precedente – dell’istituto contrattuale del cosiddetto “rent to buy”, di derivazione anglosassone e in tempi relativamente recenti recepito anche nell’ordinamento italiano, dapprima ricorrendo a una combinazione di alcune forme contrattuali tipiche previste dal codice civile e in seguito, sebbene in forma in parte differente, attraverso la disciplina ad hoc di una nuova tipologia di contratto.
In particolare, ci si soffermerà ora sulla prima delle indicate modalità con cui la figura in esame è stata recepita nell’ordinamento italiano.
Nel dettaglio, l’oggetto della presente disamina è il cosiddetto “rent to buy originale”, un modello contrattuale diffusosi in Italia a partire dal 2009. Tale modello, traendo ispirazione dalla figura statunitense descritta nel contributo precedente, ricorre, per realizzarne la funzione economico-sociale secondo schemi giuridici conformi a nostro ordinamento giuridico nazionale, alla combinazione di due contratti tipici previsti dal codice civile.
Il primo dei citati contratti è quello di locazione. Com’è noto, tale figura è definita dall’art. 1571 del codice civile nei termini seguenti: “la locazione è il contratto col quale una parte si obbliga a far godere all’altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo”.
Il secondo dei contratti menzionati, invece, è un contratto preliminare di vendita.
Al riguardo, va ricordato che il contratto preliminare è previsto dall’art. 1351 del codice civile, che ne dispone la redazione nella stessa forma del definitivo. Si tratta di un accordo con cui le parti si obbligano a stipulare un secondo, futuro contratto di cui già determinano, però, gli elementi essenziali.
Nella specie, come si è detto, siamo di fronte ad un preliminare di un contratto di vendita, quest’ultima definita dall’art. 1470 del codice civile in questi termini: “La vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo”.
Nel “rent to buy” cosiddetto originale, queste due tipologie contrattuali vengono collegate, pur mantenendo la propria autonomia. Le parti, cioè, sottoscrivono entrambi gli accordi, impegnandosi, da un lato, a rispettare i termini di una locazione e, dall’altro a siglare un successivo accordo di vendita, con il quale il conduttore acquisterà il bene di cui fino ad allora aveva goduto in locazione.
Naturalmente, i due contratti prevedranno poi clausole di collegamento reciproco, che costituiscono il punto più delicato della relativa redazione. Si raccomanda, al riguardo, di rivolgersi alla consulenza specifica di un professionista per la formulazione di una regolamentazione esente da criticità, dal momento che, come si è accennato, si tratta di combinare due figure esistenti e tipizzate nell’ordinamento italiano per realizzare effetti molto peculiari. Sarà dunque necessario contemperare le differenti esigenze delle parti per giungere ad un’adeguata disciplina dei rispettivi interessi che prevenga la possibilità di successivi contenziosi dovuti a una impropria formulazione delle clausole.
Entrambi i contratti vanno registrati presso l’Agenzia delle Entrate. Il preliminare va anche trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari e, a tal fine, sarà necessario rivolgersi a un notaio. Con la trascrizione si realizzerà una forma pubblicitaria che garantirà le parti nei confronti di eventuali pretese di terzi.
Va precisato che, in questa prima realizzazione del “rent to buy” in Italia, ottenuta attraverso la combinazione delle due citate figure contrattuali tipiche, sussisterà, in virtù del preliminare di vendita che si va a siglare, un obbligo all’acquisto da parte del conduttore alla data prevista. Questo aspetto, come si vedrà, non sarà presente nella seconda realizzazione della figura in Italia, quella di cui alla legge n. 164/2014, di cui però ci si occuperà nel successivo contributo.